Dalla Selciatella a San Gregorio da Sàssola
 Un tratto del Sentiero della Pace

La Storia di San Gregorio da Sassola

Aefula. Città fondata dai Latini-Albensi intorno all’anno 1068 a.C., sorgeva in posizione strategica per il controllo del territorio e quindi appetibile alle civiltà del tempo politicamente organizzate.  

Dal 600 a.C. divenne “amica” di Roma fino al 509 a.C., quando gli Equi (popolo di stirpe Sabina), al fine di rendere più incisive ed insidiose le incursioni contro Roma, occuparono Aefula e i territori limitrofi. Data la conformità dei luoghi, gli Equi trovarono in Aefula un valido appoggio logistico per saccheggiare i popoli della campagna romana affinché servisse da deterrente alle manie imperialistiche di Roma. 

Nel 304 a.C. Aefula entrò a far parte definitivamente della politica Romana e, precisamente, dopo che i Romani sconfissero gli Equi facendo quasi scomparire la loro civiltà. I resti degli avamposti degli Equi si possono, tuttora ammirare nel Monte Sant’Angelo e nella località “Le Ruine” in territorio di San Gregorio da Sassola. Solo successivamente Aefula partecipò attivamente alla Politica di. Durante l’invasione di Annibale (211 a.C.) furono poste guarnigioni a difesa del territorio.

 

L’importanza, non solo dal punto di vista militare ed economico, del territorio di San Gregorio da Sassola in tempo romano, è testimoniata dalla presenza di strutture mastodontiche quali l’Acquedotto dell’Aniene Vetere (ponte della Valle della Mola – 272 a.C.), l’Acquedotto dell’Acqua Marcia (ponte S. Pietro - 146 a.C.), l’Acquedotto dell’Aniene Nuova (ponte S. Antonio – risalente all’epoca di Claudio). 

Dopo l’annessione a Roma, i luoghi furono trasformati dai Romani in posti di villeggiatura dove trascorrervi i mesi più caldi tra una vittoria e l’altra. 

Dopo il periodo aureo dell’Impero Romano vi furono guerre e lutti. L’arrivo dei Barbari seminò morte, distruzione e saccheggi. I grandi acquedotti furono tagliati, le popolazioni furono trucidate e costrette alla fuga. Per difendersi dagli invasori, cominciarono ad erigere Castelli e le ville trasformate in fortezze con mura e torri. Anche nel territorio di San Gregorio da Sassola iniziarono le grandi opere di difesa.  

 

Anche nell’attuale centro di San Gregorio da Sassola si costruiva un Castello sulle rovine di una villa Romana intorno al 900. Il Castello  è la prima caratteristica che si nota quando si vede per la prima volta San Gregorio da Sassola.

 

Gli abitanti di San Gregorio, sottomessi alla famiglia dei Colonna combatterono al loro fianco contro gli Orsini.

Il Castello di San Gregorio divenne proprietà del Papa il quale nel 1439 lo vendette per 8.000 ducati alla famiglia Orsini come bottino di guerra. Nel 1498 i Colonna si riorganizzarono ed in soli due giorni sconfissero gli Orsini e gli abitanti di San Gregorio, benché protetti dalle forti ed alte. Il Castello fu saccheggiato e i loro abitanti umiliati. Il Papa Alessandro VI privò, nel 1501, di tutti i loro averi i Colonna e San Gregorio fu restituito alla famiglia Orsini. 

 

Il feudo fu acquistato nel 1567 dal Card. Prospero Pubblicola Santacroce. Uomo duro e vendicativo il quale amministrò San Gregorio da vero dittatore. Nel 1599 gli eredi del Santacroce cedettero il feudo al Duca di Poli Lotario Conti per 130 mila scudi. 

La famiglia Barberini acquistò, per la stessa somma San Gregorio nel 1632. La popolazione era di circa 1200 persone. E, come tutti i sudditi, doveva obbedire e portare rispetto al principe. Durante le feste Natalizie, chi possedeva un asino doveva portare un soma di legna al Signore di turno il quale in cambio dava un dolce a base di frutta secca. L’usanza durò fino al 1741. 

 

Il Card. Pio di Savoia divenne proprietario del feudo nel 1655. E il popolo di San Gregorio tirò un sospiro di sollievo, dopo anni di sottomissione. Dopo la peste del 1656, nella quale morirono 355 persone, costruì il Borgo, la cui struttura urbanistica viene tutt’oggi studiata. Invitò ad abitarla 90 famiglie forestiere provenienti da Rocca di Fondi, Rocca Canterano e Paesi limitrofi. Usanze, costumi ed addirittura il dialetto erano differenti tra loro. La “rivalità tra Borgo e San Gregorio, un po’ voluta dai Principi, sfociò in certi momenti in liti con sassaiole ed incursioni notturne. E solo da un ventennio circa sono finiti gli ultimi attriti. 

Dopo una serie di eredità nella famiglia Savoia, il feudo abbandonato a se stesso, passò, nel 1855, ai Duchi di Uceda. Gli Uceda visitarono San Gregorio poche volte però fecero ristrutturare il Castello ormai caduto nel declino. Fu occupato dalle famiglie Sangregoriane e i saloni furono adibiti a ricovero degli animali. 

 

Il 6 marzo 1889 divennero proprietari i Principi Brancaccio da Don Luigi Augusto De Maio Durazzo, il quale lo aveva acquistato dagli Uceda nel1886. I Brancaccio fecero importanti opere strutturali e architettoniche al Castello costruendo una torre a pianta circolare sulla sinistra e una vasta area adibita a Foresteria a levante congiungendola con il Castello tramite i due cavalcavia sulla strada centrale del Paese. 

Nel 1920, anno importante per i Sangregoriani che dopo secoli e secoli di duro lavoro divennero proprietari dei terreni dei Brancaccio a seguito della donazione che il Principe fece agli ex-combattenti e ai Capi famiglia. Tutte le montagne, e non solo, furono prese letteralmente d’assalto e nel giro di pochi anni, furono trasformate in quello che oggi possiamo ammirare: oliveti. 

Durante la seconda guerra mondiale San Gregorio fu colpito da altri lutti e di nuovo la miseria e la povertà tornarono ad essere di casa.  

 

Nel 1968 il Comune acquista una parte della villa Brancaccio. 

Nel 1981 viene acquistata, da parte del Comune, un’altra parte della villa Brancaccio. Rimane di proprietà dei Brancaccio la parte dove è ubicata la casa del custode. Attualmente di proprietà di un privato. 

Il 13 febbraio 1991, il Comune acquista il Castello dalla Principessa Fernanda Ceccarelli ved. Brancaccio. 

Dopo l’acquisizione da parte del Comune, viene dato il via ai lavori di restauro del Castello. 

Di recente il Castello viene dato in gestione ad una società privata. 

 

Ponte della Valle della Mola

L'Anio Vetus, il secondo acquedotto più antico, dopo l'Appio, risale al 312 a.C., fu costruito dal Censore Manio Curio Dentato nel 272 a.C. con i proventi della vittoria da parte dei romani su Pirro e raggiungeva Roma a Porta Maggiore.

Il Frontino localizza l'approvvigionamento dell'Anio Vetus nei pressi di Agosta. Il percorso si sviluppa quasi interamente in galleria e compie per arrivare a Roma circa 64 Km con una portata di 2,13 mc al sec. di acqua.

Nel 144 a.C. subì il primo grande restauro. I lavori di consolidamento durarono fino al  4 a.C. con la posa dei cippi delle distanze da parte di Ottaviano Augusto. L'Anio Vetus entra nel territorio di San Gregorio da Sassola, dopo una brusca virata verso sud, dalla via di Pomata di Tivoli. Fiancheggia il versante che guarda l'agro romano dei Monti Prenestini degradando dolcemente verso Roma. Ricompare nel fosso della Mola la quale viene attraversate mediante il più lungo di tutti i ponti degli acquedotti della valle dell'Aniene. Il Ponte degli Arci o della Mola si presenta alla vista del visitatore grandioso e magnifico. E' costruito su doppie arcate di diverse dimensioni e molto irregolari. La sua lunghezza totale è di  m.155,50 la più elevata di tutti gli acquedotti romani con un'altezza sul pelo dell'acqua di m. 24,50. La parte centrale è crollata nel 1965. Sul pendio della macchia della Mola si possono osservare i pozzi d’ispezione e lo speco dell’acqua, che attraversa il colle in galleria, ben conservati. Superata la Valle della Mola, l'Anio Vetus si imbatte in un tortuoso cammino sotterraneo per far si che la pendenza rimanesse costante fino ad arrivare a Roma.

 

Il Ponte S. Pietro

Su di esso vi scorreva l’Acqua Marcia. Fu costruito nel 144 a.C. da Q. Marcio Re pretore di Roma. E' alto 19 m e lungo 63. La  struttura originaria è costituita da una grande arcata centrale in blocchi di travertino e da altre arcate minori; il tutto più tardi rivestito, per motivi statici, da una massiccia struttura in laterizio. Anche qui, come al Ponte Sant'Antonio è curioso notare come la struttura originaria sostenga a peso morto i rinforzi. Sono ben conservati sotto le volte delle arcate i rivestimenti in opera reticolare. Il sito, per la sua bellezza, è stato più volte riprodotto da artisti paesaggistici.

Aggirando il Monte Ripoli a Tivoli, l'acquedotto si tuffa nel territorio di San Gregorio da Sassola. Il percorso tra Gericomio e Gallicano è quello dove sono presenti i più consistenti avanzi. Per superare i profondi valloni furono costruiti degli arditi ponti: il Ponte S. Pietro che permetteva di superare la Valle della Mola e il Ponte Lupo che permetteva allo speco di attraversare il Fosso dell'Acqua Rossa e la Valle dei Morti.

 

 

 

Testo dal sito: http://www.aefula.it/